14 mag 2020

Cambiare lavoro in pandemia… e la pandemia che cambia il lavoro

In questa situazione si può cambiare lavoro? Sì, ma affrontando il fatto che sarà la situazione a cambiarlo. I settori che crolleranno e quelli che emergeranno e, soprattutto, come prepararci al “dopo. Ne abbiamo parlato con due esperti del settore HR.

Stiamo assistendo a un cambiamento epocale che influirà – e molto – sul mercato del lavoro.

Se è vero che tipicamente le opportunità di lavoro si creano in divenire – e non solo nei momenti prosperi – è anche vero che molti cambiamenti saranno forzosi. E ci dovremo abituare.

Di norma, già la scelta di cambiare non è mai facile. I motivi che ci spingono sono svariati: nuove sfide professionali, desiderio di crescita economica, ma anche frustrazione sul posto di lavoro, necessità familiari o situazione aziendale precaria.

In questo nuovo, inaspettato scenario, sarà la necessità a spingerci a una decisione pressoché forzosa, dato che molti si ritroveranno a breve a dover fronteggiare la disoccupazione.

Ma, ciò che conta, dicono i nostri esperti, è un atteggiamento mentale costruttivo e focalizzato sulle opportunità, il che non significa – beninteso – ottimismo a ogni costo.

 

“Crisi”: partiamo dall’etimologia.

La parola crisi deriva dal latino crisis e dal greco krísis ‘scelta, decisione’. Il quadro che appare è già di per sé molto simbolico: siamo noi a scegliere che significato dare a una situazione di crisi, come quella dell’emergenza sanitaria in atto, e siamo sempre noi a scegliere come affrontare la situazione. 

“Per chi si occupa di risorse umane, un primo fenomeno osservabile è che in questa crisi i principali attori hanno reagito in modo positivo, moderno e dinamico, facendo dei passi che altrimenti non avremmo fatto. Un balzo in avanti, con una reazione univoca, coesa e con un taglio tecnologico significativo”, spiega Ottavio Maria Campigli, nostro Alumnus e Senior Principal della sezione di Executive Search di Badenoch+Clark. “E’ comunque una situazione complicata: Goldman Sachs dice che porterà al 150% di disoccupazione rispetto al post 2007-2008, ma senz’altro alcuni settori ne usciranno rafforzati. Ed è lì che bisogna puntare.”

 

Prima cosa da fare: riprogrammiamoci.

 

Partiamo dal presupposto che il mondo non sarà più lo stesso: a vincere saranno flessibilità, resilienza, creatività, apertura ed entusiasmo verso il nuovo. Da qui al 2030, inoltre, il 70% dei lavori saranno scomparsi o cambiati drasticamente, quindi va da sé che serva riprogrammarsi.

In questo periodo, prima che il mercato lavoro si riapra, dobbiamo dunque imparare a dare più valore al tempo: per esempio, lavorare subito sul perfezionamento del curriculum, con cover letter personalizzate; tastare con costanza il mercato e le nuove opportunità, imparare a utilizzare (bene) LinkedIn e in tutto questo valutare le proprie disponibilità e flessibilità a rimettersi in gioco, comunicando tutto questo in modo chiaro alle aziende a cui ci proporremo.
E, ora più che mai, serve formarsi: approfittare di questo periodo per un vero continuous learning, con corsi online per specializzarsi, magari da troppo tempo rimandati. Le offerte non sono mai mancate e in questo periodo sono in aumento.

Ma, sopra a ogni cosa, servirà capacità di adattamento: saremo eterni studenti e il mercato premierà i professionisti che si formeranno in modo concreto.

Ciò che conta è farlo ora, perché tra qualche mese – con molte attività ripartite e altrettante in difficoltà – sarà già troppo tardi.

 

La situazione per i manager.

 

Per la fascia alta di professionisti e dirigenti, ci sarà molta più competizione: già si vede il 30% in meno di posizioni su tutto il mercato. “Su dieci progetti di prima, ora ne abbiamo sette. I professionisti dovranno lavorare sulla loro unique selling proposition nel proprio mercato di riferimento, e le storie consistenti emergeranno di più nella maggior competizione”, spiega Campigli.

 

Stessa industry ed etica.

 

E se le aziende faranno sicuramente scelte conservative sul mercato – con minore propensione a rischiare – si tenderà a ricercare i professionisti della stessa industry e lo stesso faranno i professionisti, che preferiranno rimanere sulla “strada vecchia”.

“Questo fenomeno sarà molto percepibile e acuito in Italia, dove da sempre si ragiona spesso per competenze e non per potenziale; pertanto è ragionevole aspettarsi che le aziende faranno un po’ meno scommesse sui manager da assumere che vengano da altri settori”, spiega Campigli.

I tempi saranno più dilatati? Non necessariamente. Di solito una selezione executive segue un iter anche di quattro o cinque mesi, e pertanto gli attuali due mesi di lockdown incidono ancora poco da questo punto di vista. I colloqui vengono fatti via Skype/Teams/Zoom etc, anche se c’è da rilevare che in diversi casi si sono congelate le posizioni: “Spesso è una scelta di rispetto e di etica verso il professionista coinvolto: avendo delle responsabilità importanti nell’attuale azienda, abbiamo deciso di rallentare il processo di selezione per poter gestire al meglio il lavoro attuale e pianificare l’uscita con calma”, continua Campigli.

 

E gli stipendi?

 

Sono in aumento i manager che si sono tagliati lo stipendio fino al 50%, pur di preservare posti di lavoro e dare un segnale a chi vive le stesse difficoltà, ma con RAL nettamente inferiori (per esempio Fca, ma anche Mediaset, i cui dirigenti si sono decurtati lo stipendio dando un bonus ai dipendenti).

“Certamente per i manager non saranno dei mesi in cui sarà possibile avere aumenti all’interno dell’azienda, anzi. E anche in un’ottica di cambio lavorativo, non avranno degli aumenti esagerati, ma si presume che verrà valorizzata in modo corretto la professionalità del singolo executive”, puntualizza Campigli.

 

I nuovi modelli di business.

 

La grande scommessa è il cambio radicale su tanti modelli di business, in molti board ci si sta chiedendo quali siano le migliori opportunità da cogliere sul fronte digitale: ora il must-have è quello di trovare figure dirigenziali che guidino la trasformazione.

D’altra parte la tecnologia porta nuove competenze, e molte più aziende si affacceranno a una trasformazione digitale consistente.

I dati sono interessanti, e lo conferma uno studio BCG, da cui emerge che il 30% delle posizioni ad alto contenuto tecnologico resteranno vacanti per mancanza di skill sul mercato: machine learning, aumented and virtual reality, data sciences, sono ambiti che cresceranno a dismisura e che richiederanno figure competenti.

 

I settori che cresceranno.

 

Tutti quelli legati alla connettività e agli strumenti correlati: basti pensare che ZOOM da gennaio a oggi è passato da dieci a trecento milioni di utenti unici al giorno. E poi la logistica, il digitale e l’ecommerce, il fast moving consumer goods, la realtà virtuale.

 


Intelligenza artificiale e realtà virtuale / realtà aumentata.

 

Sono tra le tecnologie che più influenzeranno il mondo nei prossimi anni, generando nuove professionalità e opportunità. Per quanto riguarda AR e VR, ad esempio, a fine 2020 i dispositivi totali portati sul mercato saranno quasi 7,1 milioni, pari a una crescita del 23,6% rispetto al 2019 e la crescita di lungo periodo crescerà ancora per i prossimi anni: Idc prevede 76,7 milioni di unità distribuite nel 2024, pari a un tasso di crescita annuale composito (Cagr) dell’81,5% (fonte qui).

 

L’approccio psicologico per acquisire le skill.

 

Ma la regola chiave è ricordarsi la situazione di prima: tutto ciò che è stato messo in stand-by riemergerà più avanti.

“Noi, che stiamo vivendo la quarta rivoluzione industriale, per prima cosa dobbiamo capire cosa sta succedendo”, continua Paolo Gallo, Executive Coach, Speaker e Autore.

E la realtà dei fatti è che bisogna imparare altre cose per rimettersi sul mercato: “E’ un mismatch: i posti di lavoro nuovi richiedono skill diversi da quelli perduti, per cui il cassiere che ha perso il lavoro se non si riconverte non può coprire il posto di digital officer. E così, più che unemployed diventi unemployable”, spiega Gallo.
Dobbiamo quindi dotarci di quelle skill che noi offriamo come essere umani e che le macchine non danno. “L’aspetto da potenziare è offrire cose che hanno un valore in quel momento e farsi sempre la domanda: cosa sono le cose che servono davvero e quali quelle automatizzabili che mi mettono fuori dal lavoro?”.

 

Tre consigli pratici.
 

Paolo Gallo spiega che per sbocciare poi, quando il mercato ripartirà in una nuova veste, serva seminare ora: “E’ come decidere di fare la maratona tra un anno: ma se nei prossimi mesi se stai in poltrona a mangiare patatine e a guardare la TV, quando dovrai correre stramazzerai al suolo”.

Tre i suoi suggerimenti:

 

  1. Formarsi (e informarsi) il più possibile con webinar, corsi, articoli.
  2. Stabilire delle relazioni professionali positive: dare una mano, fare conversazione, mantenere le relazioni calde.
  3. Aumentare credibilità/visibilità che abbia valore per altri: fare mentoring, o webinar pro bono, attività al servizio di qualcun altro.
     


Un consiglio di lettura.


Chi ha spostato il mio formaggio?” di Spencer Johnson, per capire come cambiare sé stessi in un mondo che cambia.